Gianni Amelio

 
io considero il cinema come “un’arma buona’ che se usata bene può diventare un chiavistello in grado di aprire un cassetto dove è contenuta una mappa preziosa.
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La macchina da presa è uno strumento che può essere pro o contro la verità. Si può bleffare molto ingannando noi stessi prima degli altri.
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Il cinema non morirà mai nonostante tutti gli uccelli del malaugurio. Si trasformerà ancora di più, ma non ne faremo mai a meno. Accadrà come per il teatro, ma ci accompagnerà per sempre.
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Ho frequentato le sale cinematografiche, fin da quando ero bambino. Ricordo che il primo film che vidi fu “Gilda” di Charles Vidor. Potevo avere quattro o cinque anni. Al cinema ci andavo con mia nonna, una donna straordinaria che adesso ha centouno anni e con la quale ho trascorso la mia vita. Lo aveva scelto lei, a me piacevano i film di cappa e spada e d’avventura. Al cinema ci stavo delle ore. Un tempo si poteva entrare quando si voleva e si potevano vedere di seguito più spettacoli. Si poteva entrare nel pomeriggio ed uscire la sera. Il cinema era un vizio, come il dolce la domenica.
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Prima di raccontare, osserva. Prima di comunicare qualcosa agli altri con immagini e parole, fai in modo che quelle immagini e quelle parole ti suonino familiari. Prima di muovere la fantasia, afferra le cose che hai intorno.


 
Sono convinto che noi facciamo dei figli per rivincita, perché speriamo siano più bravi, belli, vincenti, fortunati di noi.
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Ho vissuto insieme a mio padre solo un anno e mezzo. Poi mio padre è partito per l’Argentina. Come suo padre, un uomo che non ha mai conosciuto. Emigrante. Ho vissuto con mia madre e mia nonna. Mia madre era ancora una bambina, aveva sedici anni quando mi ha dato alla luce e per quasi tutta la vita ha fatto la “vedova bianca”. Mio padre l’ho visto la prima volta a diciotto anni.
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… questa ossessione del padre me la porto appresso da quando sono nato. In tutti i miei film ho “solo“raccontato questo: il rapporto tra un padre ed un figlio, tra un fratello maggiore ed uno minore, tra un maestro ed un allievo. Nel mio primo film “La fine del gioco” un regista televisivo fa un film su un ragazzo calabrese dodicenne rinchiuso in carcere; ne “La città del sole”, il monaco incontra un pastorello che ha bisogno di un maestro; ne “Il piccolo Archimede, Alfred, il vecchio studioso scopre Guido un piccolo genio; ne “Lamerica” c’è mio padre…
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